Trump sembra voler utilizzare l’imposizione di dazi doganali per contrastare questo sviluppo.
Con il divieto imposto dal Department of Commerce, il gigante cinese Huawei è stato posto nella Entity List (una sorta di lista nera) e non può più acquistare materiali, software e altra tecnologia USA con il rischio che si scateni un confronto a livello globale.
Una delle conseguenze è che Google non concederà più il licensing del software Android a Huawei mettendo di fatto l’azienda fuori mercato fino a che non verrà trovato un accordo.
Ovviamente il conflitto avrà effetti negativi anche per Android e altri produttori USA coinvolti come Microsoft, Intel, Qualcomm e Dolby, che subiranno significative riduzioni nelle vendite e nelle valutazioni.
Altri effetti negativi potrebbero risultare da una eventuale ritorsione sulla vendita di prodotti Apple in Cina (mercato che per Apple rappresenta il 17%) o dal vietare a Foxconn di produrre per Apple.
Ma in base al principio che ogni divieto diventa un nuovo stimolo, questo bando forza le aziende cinesi a ridurre la loro dipendenza dalla tecnologia americana e a sviluppare una tecnologia indipendente.
Huawei, infatti, ha da tempo preparato un Piano B sviluppando un proprio sistema operativo OS, inizialmente concepito per il mercato interno cinese degli smartphone, che oggi utilizzano Android di Google, e computer, che oggi utilizzando Windows OS di Microsoft, con lancio previsto per l’autunno.
Il Presidente cinese Xi Jinping, in occasione del Belt and Road Forum a Pechino lo scorso 26 aprile, ha sottolineato come l’economia cinese sia oggi la seconda economia globale per PIL nominale ma prima in base al potere d’acquisto, ma con ancora alcune aree di fragilità nell’innovazione.
Ma ha anche sottolineato quanto la Cina sia pronta ad affrontare sfide, superare le frizioni della trade war tariffaria con gli USA, rafforzare e ingrandire le aziende di Stato, e mantenere una posizione di leadership.
Va in effetti ricordato che, nonostante il rallentamento della cre- scita economica, la Cina prevede comunque un incremento del PIL del 6,3% nel 2019 (6,6% nel 2018, la peggiore performance degli ultimi 28 anni), quindi decisamente robusta e di tutto rispetto, se confrontata con il modesto 2,4% previsto per l’eco- nomia USA (3,1% nel 2018) e con l’impercettibile 0,1% di crescita dell’Italia.